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Volumi adattivi
I Volumi adattivi di Licia Galizia e Michelangelo Lupone rappresentano un passo ulteriore rispetto all’interazione, alla quale le interfacce dei new media ci hanno più o meno abituati. Infatti i Volumi adattivi sono in grado di evolversi come capita per un qualsiasi organismo vivente. Non c’è più un numero limitato anche se invisibile di risposte allo stimolo, come capita nell’interazione, bensì le risposte del sistema adattivo sono impredicibili o solo parzialmente tali. Quindi, quanto nell’interazione era solo suggerito dall’assenza di visibilità completa del testo, dal suo trasformarsi in territorio d’azione del fruitore, nel sistema adattivo, invece, è tale costituzionalmente. Sono queste caratteristiche che rendono la ricerca di Galizia e Lupone un esempio importante dello scenario definibile post-umano, poichè entrambi producono dispositivi in grado di consentire l’esperienza estetica come atto di muatzione in corso, di ibridazione. Infatti, secondo il modello di esistenza definito da Roberto Marchesini post-umano, il proceso di costruzione dell’uomo, l’antropoiesi, è dialogica e tende naturalmente all’ibridazione, anzi la favorisce ed è in grado di usufruirne. Di conseguenza la cultura è un non-equilibrio creativo.
I Volumi adattivi sono strutture vocazionalmente ibridanti la cui “a-formalità” (o “informe” come probabilmente avrebbe detto George Bataille) consiste in un non-equilibrio in quanto strutture aperte e processuali. Volumi plastici che possono mutare – e soprattutto imparare - in conseguenza dell’intervento del pubblico, volumi che producono suoni in base alla reazione dei loro materiali in grado di memorizzare e quindi avviare processi non del tutto gestiti dall’autore, anche se da questo innescati.
Cosa diventa allora l’esperienza estetica? La rivoluzione elettronica e digitale comporta differenti modelli di esperienza cognitiva e quindi estetica che “ridisegnano” il soggetto fuori dai limiti del suo corpo in un’interconnessione che assomiglia di più a quella che Maurice Merleau-Ponty ha chiamato “carne del mondo”. I contorni indefinibili di questa carne comprendono vari aspetti che potremmo ravvisare già nella prassi creativa basata non più sul singolo ma sulla collaborazione tra un artista visivo ed un compositore musicale, nonché sulla collaborazione di molteplici competenze scientifiche.
La tecnologia, pertanto, non è affatto l’ennesimo nuovo strumento con cui ribadire vecchie forme stabili da contemplare, ma una logica differente della creatività e della ricezione che oggi consente di sperimentare un modello più ampio di umanità, per cui anche il gioco antico delle arti con i materiali, le forme e le proporzioni, prende l’aspetto più attuale di sperimentazione sensoriale di nuovi modelli ibridi di esistenza.
Franco Speroni
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